Antonella Ossorio è tra le migliori narratrici del nostro Paese. È nata a Napoli nel 1960. Dopo alcuni anni di insegnamento, Antonella Ossorio ha deciso di dedicarsi esclusivamente alla scrittura, in particolare a libri per bambini e ragazzi. Tante fiabe in rima, Raffaello, (1997), Natale in casa Capiello, Interlinea edizioni, L'angelo della luce. Il giovane Caravaggio sogna il suo destino, Electa Napoli, (2004). Dove vanno le nuvole, Anicia, (2006), Ma quante smorfie! L'isola dei ragazzi, (2006), L'unicorno sulle scale, Falzea, La pulce, Falco Editore, Se entri nel cerchio sei libero. Un'infanzia in Burkina Faso, Rizzoli, (2009); Il bello dell'ombrello, Fatatrac, (2009) L'ingrediente segreto, Anicia, (2009); C’è un ladro in fattoria! Giunti Editore, (2010); Tante favole in rima, Raffaello;
La mammana, Einaudi, (2014), ISBN 978-88-06-21773-Quando il gatto non c'è, Motta junior, (2016); La cura dell'acqua salata, Neri Pozza, (2018).La sua opera più conosciuta è "La mammana", pubblicato nel 2014 da Einaudi.
Antonella come è nata la storia de “I bambini del Maestrale?”
“L’ho scoperta per caso guardando un programma televisivo di questi settecentocinquanta bambini napoletani finiti per strada e che si incontrano con Giulia Civita Franceschi ed è pronta a raccogliere la sfida rappresentata da quel veliero, e a capovolgere una volta per tutte il destino di quel popolo infantile piegato dalla povertà e dall’abbandono. Destino che sembra, invece, inemendabile per Felice, il bambino che cerca ogni sera un angolo il più possibile riparato dove dormire con gli occhi spalancati sul buio e il nome della madre sulla bocca. Storia di un esperimento educativo unico al mondo, durato quindici entusiasmanti anni e bruscamente interrotto dal regime fascista nel 1928. Siamo agli inizi del Novecento. 1913, porto di Napoli. Attraccata all’imbarcadero, come se a trattenerla non fossero cavi o ancore, ma profonde radici abbarbicate al fondale, la Caracciolo, con i suoi tre alberi a vele quadre, simili a vestigia di un bosco sacro, incute timore e rispetto. Non tutte le navi possono vantare, come quel veliero, memorabili imprese e avventurose circumnavigazioni del globo. Il tempo delle battaglie cruente è, però, finito. La nave è in disarmo, destinata a una ultima, nobile battaglia: diventare una nave asilo per quei bambini, orfani o abbandonati dagli adulti, che vivono di furti ed elemosine per le strade di Napoli, dormendo sui marciapiedi, negli androni dei palazzi, nei sagrati delle chiese; ovunque vi sia un angolo buono per rincantucciarsi. Tredici di loro sono già a bordo, li chiamano i caracciolini e godono di un benessere superiore a ogni loro piú rosea aspettativa, con un letto e il mangiare garantiti ogni santo giorno. Sono affiorati da sottocoperta per venire a studiare l’intrusa, la donna nominata dal rappresentante del Ministero della Marina direttrice della nave”. “Una «Maria Montessori made in Naples», che ha saputo trovare per i bambini napoletani di strada dell'epoca giolittiana- scrive Donatella Trotta sul Mattino- una efficace «cura dell'acqua salata» riscattandoli dall'abbandono con un futuro dignitoso. Un'attivista visionaria, che ha incarnato una versione laica e femminile antesignana di Don Vesuvio (Mario Borrelli, il prete degli scugnizzi del secondo dopoguerra narrati da Morris West in Figli del sole). Una «Capitana» sui generis, direttrice di una scuola a tempo pieno su una piro-corvetta in disuso, che realizzò uno dei più originali esperimenti educativi e di comunità del suo tempo, apprezzato da pedagogisti di tutto il mondo”.
Quanto ci hai impiegato a scrivere questo libro?
“Circa due anni- risponde la scrittrice napoletana- costellato sin dal titolo di metafore marinare che scandiscono, sin dall'incipit di forte impatto emotivo, una vicenda vera”.
“L'autrice- scrive Donatella Trotta- la ricostruisce adattando a una avvincente trama diacronica intessuta con rispetto e credibilità, anche dei personaggi di invenzione i fatti emersi dalle ricerche di studiosi come Maria Antonietta Selvaggio: coadiuvata, tra gli altri, da Antonio Mussari, direttore della Fondazione Thesis-Museo del mare che conserva molte fonti. Con I bambini del Maestrale Ossorio si immerge nei 15 anni di esperienza (dal 1913 al 1928) di una donna del 1870 battagliera fino alla morte, nel 1957. Ne rivive i conflitti interiori e la fitta trama di relazioni. E porta a compimento la propria coerente poetica di attenzione a storie annidate (spesso nascoste) nella Storia, capace di fondere affreschi realistici e fantasia in narrazioni che catturano per la finezza stilistica con echi di Hugo, Dickens, Serao di una scrittura screziata di registri diversi, con una vivida coralità che dona vigore a personaggi, dialoghi e descrizioni legate soprattutto a quel «popolo» invisibile che è l'infanzia: presente in precedenti romanzi come La mammana (Einaudi 2014) e La cura dell'acqua salata (Neri Pozza 2018). Ma qui è l'esperimento formativo e umano del «sistema Civita», volto a rispettare e valorizzare ogni bambino nei suoi bisogni e inclinazioni e realizzato in un passato recente, in una città ancora oggi ferita dalla povertà educativa, a interpellare i lettori. Perché Felice, piccolo naufrago nelle tempeste della deprivazione, don Viggiano e la sua dedizione, i Caracciolini, le maestre e il maestro della squadra dell'indomita Giulia affrontano a schiena dritta sfide formative, nodi della vita, venti di guerra, violente ostilità e crescenti soprusi antidemocratici e totalitari del fascismo. Che volle appropriarsi di questo gioiello inserendolo nell'Opera Nazionale Balilla. Per annientarne le peculiarità maieutiche. Ma non la memoria”.
Come mai, rispetto a una produzione letteraria napoletana così vivace fatta di scrittori e scrittrici di levatura nazionale, manca nella nostra Campania una casa editrice importante?
“La Finanza e la borghesia intellettuale ha poco interesse per l’editoria che, scarseggiando i lettori e producendo molti libri non dà i proventi che si spera di realizzare”. E quindi è interessata ad altri tipi di attività economica per cui l’industria culturale è concentrata al Nord”.
A chi vanno i ringraziamenti per questo suo ultimo romanzo?
La docente universitaria Maria Antonietta Selvaggio dell’Università di Salerno ha svolto un prezioso lavoro con la sua équipe. Ringrazio poi il Direttore della Fondazione Thetyis- Museo del Mare di Napoli, Antonio Mussari. Il volume da loro curato (da scugnizzi a marinaretti), Edizioni scientifiche e artistiche che riporta testi e immagini della mostra fotodocumentaria resa possibile dalla donazione al museo sul Mare di Napoli da un ricco archivio privato è stata la mia primaria fonte di notizie sull’esperienza di Giulia Civita Franceschi”. Questo romanzo costituisce una splendida conferma del talento di Antonella Ossorio nel narrare di miseria e riscatto, crudeltà e amore nel paesaggio dell’infanzia abbandonata.
(Antonio Corbisiero)
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